Un sorriso che illumina la cura: la storia di una giovane resilienza
Era un giorno come tanti nel mio studio, ma stavo per incontrare una ragazza che avrebbe aggiunto una pagina speciale al libro delle mie esperienze professionali. La sua età? Appena 18 anni, ma già alle prese con sfide notevoli: la sindrome ADHD e un tic nervoso che le faceva inclinare ripetutamente la testa verso sinistra. Non solo, ma si portava dietro il disagio di un reflusso gastroesofageo e un dolore persistente nella zona cervicale, che la tormentavano da settimane.
Nel nostro primo incontro, c’era una certa diffidenza nell’aria, palpabile. Però, anche se l’inizio fu cauto, il cambiamento iniziò a prendere forma. Dopo la prima seduta, la tensione cervicobrachiale che tanto la opprimeva cominciò a dissolversi, quasi come se le nuvole si fossero aperte dopo un lungo temporale.
Con il passare delle settimane, attraverso esercizi mirati e altre sedute, anche il reflusso, che la aveva tormentata per mesi, mostrò segni di miglioramento. Ma il vero compito era un altro: conquistare la sua fiducia. Rendere ogni incontro più leggero e fluido era essenziale per farla sentire a suo agio, permettendo così che le tecniche di mobilità articolare, muscolare e, soprattutto, craniosacrale potessero fare la loro magia.
Dopo tre sedute, qualcosa di meraviglioso accadde. Lei si presentò con un sorriso così luminoso che avrebbe potuto illuminare l’intera stanza e gli occhi carichi di una gratitudine profonda. Le sue parole furono semplici ma toccanti: “Grazie, erano mesi che non mi sentivo così bene.”
In momenti come questi, capisco quanto il mio impegno e l’esperienza accumulata negli anni non siano solo fondamentali per la mia pratica professionale, ma siano anche chiavi per connettermi con questi giovani, che spesso trovano difficile aprirsi a noi adulti. Ogni sorriso, ogni segno di miglioramento, è una vittoria, non solo per loro, ma per la nostra missione di guarigione e supporto.